Cinquanta sfumature che amo di te – Capitolo 21
Villa Christian Grey, Seattle. Ore 22.15
Ebbene sì, la fuga dal resto del mondo aveva terminato la sua corsa.
La partenza dalla Sicilia era stata straziante tanto che non ero riuscita a trattenere un singhiozzo nell’ammirare, prima di entrare nel jet, il panorama verde e azzurro e respirando a pieni polmoni così da rubare il profumo di mare e agrumi. Il ricordo del mio primo viaggio in assoluto sarebbe rimasto sempre impresso nel mio cuore e le centinaia di foto che avevo scattato sarebbero state testimoni di uno dei momenti più belli della mia vita.
Devo ammettere, però, che il ritorno nella mia città non era stato così traumatico, ma questo perché era domenica; niente lavoro, niente realtà, rintanata all’interno di una campana di vetro.. ancora solo per poche ore, purtroppo.
Continuando a spazzolare i denti, guardai il mio riflesso allo specchio; la pelle mi si era scurita mentre ciocche di capelli si erano schiarite assumendo una tonalità ramata sotto la luce. Gli occhi invece.. quelli diventavano sempre più luminosi.
Christian ormai era una dipendenza, una droga capace di rendermi felice a livelli inimmaginabili. A parte tutto e tutti.
Provai ad immaginare solo per un attimo la mia vita senza di lui e.. beh, non ci riuscii. Non riuscii a toglierlo dalla mia mente perché ormai il suo volto era tatuato sul mio cuore e ogni battito era dovuto a lui. Potevo dire, senza voler esagerare, che vivevo per lui. Non sto dicendo che prima di incontrarlo ero in coma vegetativo, semplicemente sopravvivevo e basta. E sopravvivere e vivere non sono la stessa cosa.
Con un ingiustificato magone, sciacquai bocca e viso e aprii la porta guadagnandomi la visibilità del letto sul quale il motivo della mia felicità era coricato con le braccia dietro la nuca. Aveva gli occhi chiusi ma non ero sicura che dormisse, tuttavia lo raggiunsi in punta di piedi, scostai lentamente le coperte e m’intrufolai accucciandomi al suo fianco. In uno scatto fulmineo, si girò circondandomi con le braccia. Gridacchiai sorpresa e divertita e poggiai le mani sul suo petto, grattandogli il mento. Le nostre iridi s’incontrarono subito e parvero non potersi dividere tant’era la forza con le quali l’una incatenava l’altra.
-Posso farti una domanda?-
Lui annuì iniziando a giocare coi miei capelli. Presi coraggio e articolai la mia curiosità in un flebile sussurro.
-Cosa vuol dire ‘anch’io’?-
Capì subito a cosa mi stessi riferendo perché lo sentii irrigidirsi sotto le mie carezze. Era passata una settimana da quando gli avevo confessato che l’amavo e lui aveva risposto ‘anch’io’. Non subito, certo. L’aveva fatto nel pomeriggio. Dopo ben cinque ore. Davanti a tutti. E, ok, in tutta sincerità non avevo la minima idea di cosa volesse significare quell’anch’io.
Anch’io ho fame.
Anch’io sono stanco.
Anch’io non sopporto tutte queste persone.
Anch’io provo qualcosa per te.
Le varietà erano tante e, conoscendolo, non potevo e volevo divorare una probabilità dettata solo dalla fame che avevo di lui.
-Mi fai star bene, Anastasia.-
Rispose sollevando le spalle visibilmente in difficoltà. Non sapeva dare un nome al sentimento che provava per me, aveva bisogno di tempo per capirlo ed io lo avrei aspettato. Sempre.
-Quando sono con te non ho bisogno di nient altro.-
Aggiunse regalandomi il sorrisino timido.
-Anch’io!-
Riportai la sua risposta mostrando un sorriso aperto e sincero, linea che si distese maggiormente quando le sue labbra imitarono le mie.
D’altronde, mie care amiche, chi può sostenere che un ‘anch’io’ non possa celare lo stesso sentimento che racchiude un ‘ti amo’?!
-È bellissimo! Grazie, Ana!-
Jane mi buttò le braccia al collo strigendomi in un caloroso abbraccio con una sola mano, l’altra era impegnata a reggere una boccetta in ceramica blu sulla quale vi era dipinto il paesaggio della Sicilia, all’interno il profumo di arance e bergamotto. Un piccolo souvenir italiano.
-Di niente. Allora, dimmi.. Ehm.. che si dice in azienda?-
Traduzione: la relazione con Christian è ancora sulla bocca di tutti?
-Mah, solite cose.-
Traduzione: puoi dirlo forte!
Guardai la scalinata che portava nell’altrio decidendo seriamente se darmela a gambe e marinare il primo giorno di lavoro dopo la settimana di assenza.
-Ana, andrà tutto bene. Non ti curar di loro.-
La mano di Jane si spostò sul mio avambraccio, stringendolo per incoraggiarmi. Aveva ragione. Tutto sarebbe andato bene.
Annuii determinata, più a me stessa che a lei, e mi stampai un sorriso battagliero.
-Andiamo a svolgere il nostro lavoro, collega.-
-Così mi piaci.-
Ed insieme marciammo verso l’inferno.
Strano ma vero, in ufficio nessuno mi degnò un’occhiata. Parevano volermi stare alla larga e in tutta sincerità non potevo che esserne sollevata, anche se un po’ mi sentivo a disagio. L’unico che non mi aveva riservato alcun trattamento particolare era stato Nathan Williams.
Avevamo conversato amichevolmente durante la pausa pranzo e mi aveva parlato un po’ della sua vita; era di origini londinesi e il suo credo sentimentale era stato messo a dura prova da una relazione in cui aveva rischiato tutto, il cuore in primis. E tutto aveva perso.
Poche ore più tardi mi trovai a pianificare una specie di appuntamento tra Jane e Nathan, ero sicura sarebbero andati d’accordo. Magari l’allegria della mia amica avrebbe potuto sanare quella ferita che..
-Anastasia Steele, quasi non ti riconoscevo più.-
Sollevai di colpo il mento dagli appunti che non stavo controllando e lo vidi.
-Josè.-
Fiatai il suo nome sinceramente sorpresa di trovarlo a meno di mezzo metro. Il cuore riprese a battermi.. ma in gola.
-Puoi fare una pausa?-
Consultai l’orologio prima di rispondere.
-Il mio turno finisce tra quindici minuti. Puoi aspettarmi giù?-
-Certamente.-
Annuì e si dileguò.
Fissai la sua spalla coperta da un cappotto marrone allontanarsi per poi sparire dietro l’angolo. Era ormai un mese che non avevo più sue notizie e il vederlo dopo che la mia vita era radicalmente cambiata, mi aveva causato un nostagico groppo ricordando i giorni in cui io, lui e Kate ridevamo come matti davanti alla tv o sdraiati sul pavimento.
Conclusi svelta il lavoro arretrato e salutai Nathan augurandogli una buona serata. Decisi di prendere le scale così da poter chiamare Christian senza alcuna fretta. Rispose al secondo squillo.
“Ragazzina!”
Sorrisi ormai divertita dai mille nomignoli che mi affibbiava ogni giorno. Era strabiliante la facilità con la quale riusciva ad allontanarmi dal resto del mondo con la sua sola voce.
-Signore, l’ho telefonata per avvisarla che stasera resterò a dormire da Jane.-
“Perché?”
Diretto. Brusco. E contrariato.
Ma molto spesso la medesima voce mi spingeva anche a ritornarci in quel resto del mondo!
-È venuto a trovarmi un amico che non vedo da tanto. Credo mangeremo qualcosa insieme. Mi conviene fermarmi da Jane.-
Il silenzio dall’altra parte mi portò a credere che fosse caduta la linea; ipotesi errata quando udii un categorico:“No.”
Bloccai i miei passi fermando il piede a mezz’aria prima che questo potesse atterrare sullo scalino successivo. Ero sorpresa, spazientita e furiosa!
-Chri..-
Ingoiai il suo nome quando un dipendente mi oltrepassò guardandomi sottecchi. Sospirai lentamente e abbassai il tono di voce collerico in un sussurro esasperato.
-Christian, non te lo sto chiedendo! Non vedo Josè da un mese. Ho bisogno di parlarci!-
“Puoi sempre telefonargli.”
Dio mio, infondimi tanta pazienza!
-Non sarebbe la stessa cosa.-
Assottigliai le palpebre colpita da un dubbio sospeso ormai sopra la certezza.
-Sei per caso geloso?-
“Da impazzire, Anastasia.”
La sua confessione ringhiata con tanto fervore mi provocò la pelle d’oca inondando e scombussolando lo stomaco con una marea vasta di emozioni. Abbozzai un sorrisetto e riprendendo a scendere, cercai di scovare le parole più rassicuranti che il mio dizionario possedesse.
-È solo un panino! Lui per me è come un fratello, non hai motivo di essere geloso. Credevo che ormai fosse chiaro chi è l’uomo che mi ha rubato il cuore.-
Lo immaginavo stringere le labbra, sconfitto dall’ovvia verità.
“Vuoi che a fine serata ti passi a prendere?”
La sua sembrava una domanda, ma in realtà nascondeva una condizione che -sempre secondo il suo criterio di relazione- avrei dovuto rispettare. E sapete quanto me che ogni frase di Christian andava parafrasata:
Vuoi che a fine serata: l’appuntamento non deve durare più di un’ora;
Ti passi a prendere: devo marcare il territorio, magari infilandoti la lingua in bocca davanti al tuo amico.
-Non è necessario, posso fermarmi a dormire da Jane. È da tempo che non vado a casa sua. Ormai si può dire che mi sono trasferita da te!-
-E ti dispiace?-
La sua voce arrivò calda e improvvisa alle mie spalle facendomi sobbalzare. Ed eccolo in tutto il suo splendore; quella mattina avevamo deciso di vestirci abbinando i colori (o meglio, ero stata io a copiare lui); Christian aveva indossato una camicia blu notte sotto un completo grigio, io invece un pantalone blu scuro e una camicia grigia. Per fortuna non se n’era accorto, non avrei sopportato l’idea di essere scambiata per una adolescente sentimentale.. anche se forse un pochetto lo ero!
Ripuntai gli occhi nei suoi trovandolo a fissarmi con un’espressione animalesca; era furioso e sensuale in egual misura.
-Eh?-
Sapevo che aveva parlato ma non avevo ben capito cosa avesse detto.
Avanzò di un passo continuando a tenermi inchiodata con lo sguardo e mi regalò un sorrisetto sghembo. Era consapevole dell’effetto che aveva su di me e più che volentieri si divertiva a ricamarci su.
-Ti ho chiesto se ti dispiacerebbe vivere da me. Con me.-
Un momento, gente! Questa era una proposta in piena regola. Un’importante proposta.
-Ahm.. Io.. Io non lo so.-
I suoi occhi furono attraversati da un guizzo di accecante delusione, mascherato subito con un’occhiata guardinga.
-Non lo sai?-
Mi stava pressando. E in un momento sbagliato poichè eravamo al centro dell’attenzione di tutti.
-Christian, possiamo parlarne stasera? Per favore.-
Mi guardai intorno, imbarazzata.
-Posso baciarti?-
Eh? Cosa? Chi? Dove?
Christian che chiedeva il permesso? No, dovevo aver sentito male. Per forza!
-Me lo stai chiedendo?-
-Te lo sto chiedendo.-
Lasciai vagare gli occhi sui vari passanti beccandoli a fissarci furtivi e affamati di gossip. Possibile che a lui l’idea di essere sulla bocca di tutti non lo turbava neanche un po’?! No, certo che no. Lui era già da un pezzo l’attrazione del popolo. Era abituato. La riflessione giusta sarebbe stata se non lo infastidisse che la sua relazione amorosa fosse l’argomento più succoso dei dipendenti che sgobbavano per lui.
-Preferisco evitare, Christian. Voglio dire.. guardati intor-
Non riuscii a terminare la frase perché le labbra di Christian violarono le mie in un bacio lento, presuntuoso ed erotico come sempre.
Ecco il perché della sua domanda. Non si era trattato di galanteria, nossignore, ma semplice ripicca!
La mia bocca era già aperta quindi non fu un problema infilarci la lingua assaggiandomi come meglio poteva.
Quando si staccò mi guardò come se avesse vinto alla lotteria, comportandosi come se fossimo soli, mentre in realtà avevamo puntati addosso chissa quanti paia di occhi.
-Chiamami quando rientri a casa.-
E la fulminea serietà mi suggerì che avrei fatto meglio ad accontentarlo, quindi -seppur ancora stralunata- annuii.
La sua mano s’intrufolò tra il gomito e il fianco e mi spinse a sè per stamparmi un secondo bacio, ma sulla guancia.
-A proposito, mi piace il tuo stile stamattina.-
Avvampai all’instante; chi aveva osato dire che non se n’era accorto?!
-A più tardi, ragazzina.-
E a testa alta, sicuro di sè, andò via tra gli sguardi intimiditi di chi intralciava il suo cammino.
-Anastasia Steele, dimmi che non sto sognando!-
L’esclamazione di Josè arrivò sbalordita e divertita e quando mi girai a fronteggiarlo sul suo viso era evidente lo shock della novità appena appresa, o meglio, vista. A quanto pareva, Christian si era comunque accertato di marcare il territorio. Calcolatore arrogante!
Incrociai le braccia al petto e guardai il mio amico in malo modo, lui se ne rese conto e sospirò.
-Mi sono perso tante cose, eh?!-
-Un messaggio, Josè. Sei sparito lasciandomi solo un dannato messaggio.-
Abbassò lo sguardo, colpevole.
-Non potevo rimanere.-
Rabbia e delusione erano ancora presenti nella sua voce; doveva aver sofferto parecchio e molto probabilmente la ferita bruciava ancora.
Sbuffando per scacciare via il groppo in gola, lo abbracciai godendo di quel calore fraterno che mi era mancato tanto.
-Mi dispiace, Ana.-
-Dispiace anche a me, Josè. Dispiace anche a me.-
Sdraiata sul letto in camera di Jane, staccai il mio cellulare dal caricabatterie e aprii la cartella messaggi per inviarne uno al mio uomo se-non-mi-avvisi-quando-
La sua chiamata arrivò due secondi dopo. Alzai gli occhi al cielo e infilai la testa sotto il piumone per attutire la voce e non rischiare così di svegliare Jane che dormiva sul letto a pochi metri dal mio.
-Christian?-
“Perché sussurri?”
-Perché qui c’è gente che dorme! Per questo ti ho mandato un messaggio.-
Sentii la sua risata beffarda e lanciai un’occhiataccia al telefono.
“Avrei potuto passare a prenderti io e adesso, invece di bisbigliare, staresti urlando.”
Smisi di respirare mettendo tutti i sensi in allerta; avevo imparato a distiguere ben cinque tonalità di voce di Christian da quando lo frequentavo.
1. Quello da amministratore delegato: freddo, impassibile, ditaccato e incazzato a seconda delle circostanze.
2. Quello da dominatore: autoritario, sexy e tentatore.
3. Quello da giocherellone: rilassato e sfottente.
4. Quello da bambino: capriccioso, risentito e irritato.
E 5. Quello da Christian-ho-solo-ventisette-
Ecco, quest’ultimo aggettivo è proprio il termine esatto per descrivere la situazione del momento; stava pianificando qualcosa.
-Sì, ti starei urlando contro! Domani mattina devo svegliarmi presto e tu mi stai intrattenendo. Sai, il mio capo sa essere un vero stronzo.-
“Oh no, piccola. Mi staresti urlando in bocca ed io sarei stato più che felice di ingoiare i tuoi gemiti.”
Impossibili da eludere, mi ritrovai le immagini dei nostri corpi aggrovigliati; Christian sopra di me che con le sue spinte mi portava a raggiungere il paradiso.
Emisi un fievole lamento rimpiangendo di non aver accettato il suo passaggio. E sì, anche di aver risposto alla sua chiamata!
-Giochi in modo sleale.-
Non potei evitarlo, la voce uscì roca e graffiante rivelando il desiderio che si stava accendendo per lui con una velocità impressionante.
“Dovresti saperlo.”
Riuscivo a percepire il suo ghigno divertito ma non mi sfuggì il modo in cui pronunciò quelle parole; anche lui mi voleva.
“Sei già a letto, Anastasia?”
-Sì. Tu?-
“Alzati e chiuditi in bagno.”
Per tutta la cioccolata Svizzera! Come ci riusciva? Come poteva trasformare una semplice frase in una promessa carnale?
Ignorai il battere frenetico del mio cuore, pari merito col pulsare della mia femminilità, e abbassai appena il piumone per sbirciare la sagoma immobile di Jane.
-Non.. Christian, ti prego!-
Dio mio, stavo vergognosamente ansimando!
“Puoi restare dove sei ma dovrai stare attenta non emettere alcun suono, piccola. Credi di riuscirci?”
Mi stava sfidando! Ritornai sotto il piumone, dando le spalle a Jane, e mi distesi su un fianco portando le gambe al petto.
-Qual è esattamente la tua intenzione, Grey?-
“Farti pentire di non essere qui con me.”
-E in che modo, signore?–
Lo sentii sospirare sicura che le sue dita stessero affondando tra i capelli scompigliandoli più di quanto già non fossero normalmente.
“Ricordandoti quanto ti piaccia che la mia bocca accarezzi ogni parte del tuo corpo, centimetro dopo centimetro. Le mani che, stringendo, ne rivendicano il possesso. Perché sei mia Anastasia. Solo mia.”
-Sì.-
Confermai in un boccheggio carico di bramosia, anche se non mi era stata posta alcuna domanda.
“Vorresti che ti toccassi, Ana?”
Annuii inutilmente prima di assentire a voce.
“Ma non posso perché tu non sei qui.”
Quanto adorava girare il coltello nella piaga!
“La tua mano diventerà quindi la mia.”
Un momento. Cosa???
Strabuzzai gli occhi nel buio del mio morbido nascondiglio, stringendo forte il telefonino.
-Christian, non lo farò.-
“Non ti sei mai data piacere da sola?”
Ma perché la telefonata aveva preso questa piega? Dovevo solo avvertirlo di essere a casa, non parlare della.. della masturbazione!
-Christian!-
Lagnai portando la mano libera sul viso, come se già non fosse abbastanza coperto.
“Non vuoi farlo?”
-No. Voglio che sia tu a farlo, dannazione!-
Ringhiai tra i denti, avvampando per la veridicità di quel desiderio.
Avrei messo la mano sul fuoco che il sorriso di Christian in quel momento era ampio e schifosamente soddisfatto.
“Ma non sei qui.”
Ribadì ancora una volta spingendomi a scalciare sotto il piumone.
-E va bene. Hai vinto tu! Mi sono pentita. Contento?-
“Lo sarei stato di più se fossi dentro di te adesso.”
Ossignore.
-Basta. Buonanotte, Christian.-
Il bastardo ridacchiò e ogni sussulto di risata si scontrava direttamente nella parte pulsante, ora più che mai, del mio corpo.
“Buonanotte, ragazzina.”
Non riattaccò ed io nemmeno. Sorrisi sentendomi ancora una volta, ancora con e per lui, un’adolescente follemente e irrecuperabilmente innamorata.
-Christian?-
“Mh?”
-Ti amo.-
Parlò dopo un minuto, secondi in cui metabolizzò la dichiarazione. Ancora stentava a credere che qualcuno potesse amarlo e ciò mi fece male. Molto male. Ma prima o poi se ne sarebbe convinto. In un modo o nell’altro.
“A domani, Anastasia.”
-A domani.-
-Papà?-
In punta di piedi sbirciai oltre la finestra del soggiorno nascosto dalle tende arancio, ma di mio padre neanche l’ombra.
Eppure lo avevo avvisato che quella sera gli avrei presentato il mio fidanzato!
-Uff! Papà?-
-Annie!-
Sobbalzai quando la sua voce mi giunse alle spalle. Portai una mano sul cuore timorosa che potesse uscirmi sul serio dal petto.
-Ma papà, non si fa! Mi hai fatto prendere un colpo.-
-Oh, andiamo! Non fare la cagasotto.-
Mie care amiche, vi presento mio padre, Ryan Steele, in tutta la sua dolcezza!
-Non abbracci il tuo vecchio?-
Incrociai le braccia al petto riducendo gli occhi a due fessure.
-Prima dimmi dove sei stato.-
Indossava una camicia blu a quadri e un pantalone dello stesso colore. Le scarpe erano pulite, segno che non era andato ad avventurarsi nei boschi.
Mi sporsi maggiormente quando notai che le sue guance asciutte e lineate da qualche ruga d’età, arrossirono.
-Papà?-
Lo invogliai a parlare e passandosi la mano tra i capelli della nuca, sorrise imbarazzato ma deciso a mostrarsi allegro come sempre.
-Sono andato a farmi bello!-
Con un battito di ciglia, arretrai col busto; questa non me l’aspettavo.
Gli angoli della mia bocca si sollevarono lentamente per la bontà del mio paparino e, senza attendere oltre, gli buttai le braccia al collo sentendo subito l’odore del dopobarba.
-A Christian piacerai tantissimo, ne sono sicura.-
-Vorrei ben vedere, Annie.-
Ridacchiai e tenendolo per mano entrai in quella casa che avevamo battezzato con la promessa di un nuovo inizio. Un inizio senza la mamma.
-Ciao Ciock!-
Usando il tono che solitamente viene riservato per i cani, mi chinai per coccolare il piccolo barboncino color nocciola di mio padre guadagnandomi una leccata sul viso.
-Annie, io non ho cucinato nulla e..-
-Tranquillo, ci penso io. Te l’ho detto.-
Christian sarebbe arrivato per le 20.00 ed io mi ero offerta di preparare la cena anticipando di un paio d’ore.
In cucina iniziai ad elaborare i miei piatti migliori, lieta di tener la mente lontana dall’ansia e soprattutto lontana da Josè che era già in viaggio per la Spagna. Aveva deciso di andar via di nuovo. E stavolta per sempre.
•••••
-Cosa ci fai qui?-
Il sorriso obliquo che le rivolsi la fece agitare più dell’effetto sorpresa.
Spalancai la porta e, scansando la donna dai capelli neri, entrai senza alcun permesso.
-Ho sempre trovato buffa questa nostra strana affinità. Pensa che sono venuto a chiederti la stessa cosa.-
Il tono che utilizzai era volutamente calmo e amichevole, e chi mi conosceva -o meglio, chi credeva di conoscermi- sapeva ch’era il più letale.
Presi una foto incorniciata e l’avvicinai al viso per guardarla meglio; erano una bella coppia, nulla da ridire, peccato che la dama era una fottuta puttana.
Riportai al suo posto l’oggetto e lanciai un’ultima occhiata intorno prima di puntare i miei occhi su quelli grigi dalle sfumature blu della ragazza.
-Bell’appartamento. Molto accogliente ma inutile, devo dire.-
-No.-
-Oh sì. Tu andrai fuori dai coglioni, Corinne. Entro domattina.-
E mentre i suoi occhi si velavano di lacrime e il suo capo continuava a negare, i miei passi iniziarono a portarmi da lei, costringendola a retrocedere.
-Non voglio vederti mai più. Prenderai il primo volo per Parigi e sparirai per sempre dalla sua vita. Sono stato abbastanza chiaro?-
-Andrò via solo con lui. Tu non sei nessuno per darmi ordini.-
Assottigliai le palpebre ignorando la rabbia che stava bollendomi in corpo.
-Non sono nessuno?! Chi credi lo abbia aiutato a non sprofondare nella merda quando ha scoperto che la sua futura sposa a soli due giorni prima del matrimonio si lasciava inculare da una testa di cazzo?!-
-Non.. non essere volgare! Tu non sai niente.-
-Sò quanto basta. Hai tradito il mio migliore amico.-
-Sì è vero, l’ho tradito. Ma con il corpo! Il mio cuore è sempre stato suo!-
Storsi il muso disgustato dalla sua ammissione, dettaglio ancor più deplorevole era quella che lei credeva fosse una giustificazione.
Soltanto io sapevo quanto dolore avesse provato Jack e il rischio di poterlo perdere per sempre. E per chi?! Per una troia che non era stata in grado di tenere le gambe chiuse.
-Non lo vuole il tuo cuore. Non vuole niente da te se non la tua assenza. Inquini l’aria che respira, non lo capisci? Crei fastidio, noia e nausa. Se la tua idea è quella di riconquistarlo..-
Emisi una risatina sarcastica marcando l’assurdità dell’ipotesi.
-Allora non hai capito proprio un cazzo.-
La mano di Corinne si alzò verso il viso pulendolo dalle lacrime che non avevano cessato di scendere da quando avevo iniziato la mia dura oratoria, e abbassò il mento.
-Invece sì. Ho capito tutto quando ti ho visto. Lui.. Jack non avrebbe mai mandato te, altrimenti. È chiaro che non posso fare nient’altro. Per lui non esisto.-
Il suo sussurro sconfitto mi rilassò ma mi curai di non darlo a vedere; Jack non l’aveva ancora dimenticata così come non aveva smesso di soffrire. Aveva soltanto archiviato un pezzo della sua vita, ma non poteva tenerlo nascosto se la causa della voluta amnesia tornava a rievocare ricordi che aveva cancellato lottando duramente.
-Già da un pezzo, Corinne.-
Reincarai la dose stampandomi in volto un’espressione arrogante e priva di qualsiasi emozione se non la gioia causata dal suo dolore.
Alzò i suoi occhi battaglieri ma sconfitti nei miei e mi rifilò un’occhiata piena di sofferenza.
-Molto spesso le scelte ti uccido, Christian. Ed io ho deciso di morire oggi. Andrò via. Ma non perché sei tu ad obbligarmi, ma perché lo amo troppo. Se mi vuole fuori dalla sua vita, va bene, non mi vedrà mai più. Gli errori si pagano, lo so. E questo è il mio prezzo.-
E raccimolando le ultime briciole di dignità rimastele, sollevò il mento oltrepassandomi per sparire oltre la porta della camera da letto laddove una valigia era già aperta.
Non avrei mai creduto possibile che un giorno avrei fatto delle presentazioni ufficiali nelle vesti di fidanzato. Ma per lei.. per lei sarei stato disposto a tutto.
Suonai il campanello di casa Steele e nell’attesa che la porta venisse aperta, mi sistemai il colletto della camicia bianca coperta dal cappotto. Quella sera Eolo aveva deciso di schierare contro Seattle uno dei venti più gelidi ma quando l’uscio si aprì e dinanzi a me comparve la creatura più meravigliosa che i miei occhi avessero mai visto e mai potuto vedere, il mio corpo fu colpito da una fiamma che m’incendiò tutto.
Anastasia indossava un abitino viola a collo alto e sul viso, libero dai capelli ch’erano stati legati, tracce di farina la rendevano semplicemente irresistibile.
-Ciao.-
Mormorò estasiata dalla figura che aveva davanti; sapevo l’effetto che avevo su di lei e osservarla impazzire per me era sempre un’eccitazione senza pari.
-Ciao.-
Mi chinai per sfiorarle le labbra, tocco che lei trasformò in un vero e proprio bacio. Le strinsi il fianco e controvoglia la allontanai di qualche centimetro.
-Preferirei evitare di dare un’impressione sbagliata a tuo padre.-
-Sbagliata?!-
Inarcò il sopracciglio guardandomi come se avessi sparato la cazzata più colossale. E aveva ragione! Cazzo, l’avrei presa lì, sul pianerottolo di casa sbattendola contro il portone. Ma non potevo o Mr Steele mi avrebbe tagliato i coglioni, ne ero sicuro.
-Frena la tua lingua biforcuta e invitami ad entrare.-
Si schiarì la gola e indietreggiò di un passo pronta a recitare la parte della figlia timida e impacciata.
-Christian, vieni. Entra pure.-
Scossi il capo ed entrai in casa lasciando alla padroncina il compito di chiudere la porta alle nostre spalle. Subito le caviglie subirono l’assalto di affilati artigli. Abbassai gli occhi e una palla di pelo nocciola stava giocando con i miei jeans neri Dolce e Gabbana.
-Fallo sparire dalla mia vista, Anastasia.-
Indicai quel mostriciattolo che continuava ad azzannarmi le gambe.
-Ciock, lascia stare Mr Grey. È socio di Crudelia Demon.-
La ragazzina roteò gli occhi prima di dirigersi verso il soggiorno. Mi aveva appena scimmiottato?
Comunque sia, palla di pelo nocciola, Ciock -ero convinto che quello era un nome scelto da una certa ingorda di cioccolato- la seguì trotterellando e alzando la coda a mo’ di dito medio.
-Papà? Ti presento, Christian.-
Il petto le si gonfiò di orgoglio nel nominarmi e il mio sorriso non potè non sorgere per la stessa ragione.
Un uomo mingherlino, poco più alto di Anastasia, e dagli occhi blu come i suoi affacciò tendendomi la mano, senza curarsi di nascondere uno sguardo critico.
Mi piaceva.
-Mr Steele, sono lieto di conoscerla.-
Strinsi la mia mano nella sua trovandola piacevolmente calda e sicura.
-Ciao Christian. Anastasia mi ha parlato molto di te.-
Sorrisi educatamente lanciando una significativa occhiata alla figlia che arrossì sotto il mio allusivo sguardo.
-Be.. Bene! Le presentasioni sono state fatte! Io direi di accomodarci a tavola.-
La sua agitazione la rendeva adorabile, nonostante cercasse di mostrare un sorriso solare. Le passai la bottiglia di chamapagne, presente che porse nelle mani del padre affinché lei potesse aiutarmi a sfilare il cappotto. Nascosta dalla mia stazza, mi stampò un bacio sulla spalla e sparì oltre il corridoio lasciandomi con suo padre.
-Ahm.. Christian!-
Notai che anche Mr Steele era alquanto irrequieto e lo compresi dal modo in cui mi chiamò, a mo’ di saluto cameratesco. Finalmente avevo capito da chi avesse preso la primogenita.
-Vieni pure, non essere imbarazzato.-
Sì, dedisamente. Tutta suo padre.
Abbozzai un sorriso e mi accomodai nel piccolo e rotondo tavolo apparecchiato elegantemente.
-Allora..-
Mr Steele si sfregò le mani prima di prendere un pezzo di pane e sbriciolarlo.
-Che.. Che intenzioni hai con mia figlia, giovanotto?-
Subito al dunque.
Poggiai gli avambracci sul tavolo e incollai i miei occhi ai suoi pretendendo tutta l’attenzione dell’uomo.
-Ho intenzione di renderla felice, Mr Steele.-
Lui ricambiò la serietà dello sguardo valutando la sincerità delle mie parole prima di annuire.
-Bene. Perché è la mia unica bambina. È la mia donna. Non sopporterei vederla soffrire.-
Una velata seppur chiara minaccia al sottocritto. La nostra donna, ahimè non potevo rubare ad un padre l’appartenenza della figlia ed era l’unico uomo con il quale l’avrei divisa, non avrebbe mai sofferto. Mai.
-Neanche io, Mr Steele. Glielo posso assicurare.-
Le sue spalle si rilassarono. Mi ero appena guadagnato la sua fiducia.
-Sono tornata!-
Esordì la piccola grande donna facendo la sua entrata in scena con un’espressione entusiasta e un vassoio. La conoscevo abbastanza bene da captare la sua avida curiosità di sapere cosa avessero detto suo padre e il suo fidanzato. Prese posto accanto al genitore, trovandomela così di fronte, e la cena iniziò.
Il clima era sereno e con il passare dei minuti gli Steele si rilassarono. Le conversazioni diventavano sempre più sciolte e spontanee; scoprii che Ryan amava andare a pesca, avventurarsi nei boschi e guardare lo sport. L’amore incondizionato per la sua figlioletta –Annie– era evidente in ogni frase, battuta o sguardo che le lanciava. Azioni ed emozioni non molto differenti dalle mie; l’unica particolarità stava nella malizia. Le sue attenzioni erano affettuose e giocherellone, le mie affamate e bramose.
Eravamo ormai al dolce, tiramisù elaborato alla perfezione dalla mia ragazzina, quando suonò il campanello dando a quel barboncino posseduto dal demonio un motivo per sbraitare.
-Aspettavi qualcuno, papà?-
-No, Annie.-
Anastasia corrugò la fronte e andò ad aprire. Pochi secondi dopo la sua voce cristallina risuonò nel salone.
-Zia!-
-Non sapevo avesse una sorella, Mr Steele.-
Sorrisi all’uomo che leccò via l’ultimo pezzo di crema dal labbro.
-Oh, non lo è. E non è neanche la sorella della mamma di Annie.-
Sollevai uno sguardo perplesso verso l’entrata del salone gustandomi l’entrata di Anastasia ma il sorriso andò a pietrificarsi l’attimo dopo.
-Lei e mia moglie erano migliori amiche. Ormai è un membro della famiglia. Ti piacerà, figliolo.-
Un paio di occhi azzurri e freddi si posarono su di me, sorpresi. Il mio cervello aveva ormai smesso di lanciare impulsi per poter dire o fare qualunque cosa.
-Hai visto mia cara?! La nostra bambina sta mettendo la testa a posto!-
Mr Steele indicò una sedia prima di rivolgersi alla figlia.
-Tesoro, vai a prendere un piattino anche per zia Elena.-
Elena Robinson Lincoln.
Solo una cosa: oh c***o 😱
Che finale……nn ci credo zia elena!!!! 😮😮
Nn vedo l’ora di leggere il prossimo capitolo, ne vedremo di belle!!!!
Wuao , fantastico ne vedremo delle belle adesso , complimenti la tua storia mi affascina tantissimo
oh cavolo che finale
SEMPLICEMENTE PERFETTPO
È comparsa ELENA e questo significa guai.
AL PROSSIMO CAP IO CM SEMPRE CI SARÒ
O mio dio!!!
E’ risaputo che campanello che suona, colpo di scena alla porta. Ma questo, QUESTO (!) non me lo sarei mai aspettata!
Buon giorno fanciulle! Mo son cazzi …..ma quanto odio Elena. Sara, come sempre, ti riscrivo che sei una scrittrice nata . Baci ♥ 😀 😛
O mio dio qual la cosa si fa interessante
nooo oh c***o!!!! Ma pure qua sta Elena ahhhhh….sarà uno spasso *-*